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Raccontare il museo – Dai libri all’idea

Da dove comincio per raccontare il museo? Di che cosa parlo?

Nel mio caso ho una lista di oggetti che entreranno a far parte del nuovo percorso multimediale del Museo. Sono una trentina e sono loro che hanno bisogno di essere narrati. In alternativa potrei metterne insieme alcuni e raccontare di siti o contesti più in generale, potrei tematizzare le storie per genere o per media utilizzato o ancora potrei scrivere storie diverse per uno stesso oggetto. Ci sono tanti modi per raccontare, però bisogna cercarlo di fare nella maniera giusta.

In qualunque modo intendiamo raccontare il museo, il punto di partenza è comunque sempre lo stesso: raccogliere le fonti a disposizione, studiare e cercare di sapere il più possibile sul nostro oggetto. Senza questo passaggio tutti quelli successivi saranno sbagliati. Forse è il più noioso, ma non si può prescindere da esso.

La storia necessita di solide fondamenta su cui impostarsi. Gli studi compiuti sui pezzi del museo forniscono il contenuto da far confluire nel racconto, un contenuto da cui non si può sfuggire e che non si può aggirare. Se un sito era un bivacco, nella storia non può diventare una grotta perché è più funzionale agli eventi o al nostro gusto. Non siamo dei romanzieri, che seguono il loro estro. Le storie del museo vanno costruite attorno al contenuto, per raccontare il contenuto. Scrivere per il museo è difficile perché bisogna farlo rispettando quello che si legge nei libri.

testo in archeologhese

In che forma trovo il contenuto? Le fonti non utilizzeranno certo il linguaggio del racconto, ma quello tecnico della letteratura archeologica. Frasi lunghissime piene di termini specifici, sintatticamente complicate e spesso incomprensibili anche per gli stessi archeologi, se non si ha sott’occhio un’immagine dell’oggetto descritto.

Da un testo come quello nell’immagine occorre estrarre le informazioni principali, fare una selezione in relazione al tipo di pubblico da raggiungere, e poi far accendere la lampadina alla ricerca di un’idea di storia che possa comprendere e valorizzare le informazioni selezionate.

Da dove trarre spunto per un’idea? Finora ho trovato molto utile andare al di là dell’ultima pubblicazione sull’oggetto e cercare nei vecchi studi, o nella cornice della scoperta, aneddoti e situazioni particolari su cui costruire una storia. Spesso dietro le quinte si celano lettere inviate da un archeologo ad un altro, diari di scavo con appunti mai pubblicati o racconti orali che descrivono più vivamente una situazione all’apparenza scontata. Anche queste sono fonti da prendere in considerazione per cercare ogni volta di raccontare la storia più adatta, quella che valorizzi meglio il soggetto di interesse.

Niente paura davanti a frasi incomprensibili, che a prima vista non sembra possibile possano diventare qualcos’altro: il passo successivo è quello di trovare il linguaggio giusto per adattare il contenuto ad un testo da pannello scorrevole e chiaro e di eliminare tutto, eccetto le informazioni che ci interessano, per scrivere una storia da zero.

Da qui però ci si inizia a divertire!

Raccontare il museo – Intro

Come faccio a rendere interessante un’amigdala? Come posso spiegare ai bambini che gli idoletti di Ripabianca rappresentano “molteplici fenomeni ideologici che rispecchiano l’eterogeneità delle prime comunità neolitiche”? Come raccontare una necropoli protovillanoviana in modo coinvolgente senza perdere in qualità dell’informazione?

Queste e altre domande mi hanno accompagnato da gennaio ad aprile, quando ho svolto il mio secondo tirocinio presso la Soprintendenza dei Beni Archeologici delle Marche, e lo faranno anche dai prossimi giorni a dicembre, tempo necessario a terminare questo che è diventato il mio primo lavoro. Il mio compito è quello di scrivere i testi per il nuovo percorso multimediale di cui si doterà il Museo Archeologico Nazionale delle Marche.

Un compito che ho accolto subito con entusiasmo perché mi permette, da un lato, di mettere insieme lo studio della collezione del museo e, dall’altro, di ampliare la mia esperienza nella comunicazione dell’archeologia alla redazione di testi scritti in ambito museale.

Un compito che d’altra parte sento di grande responsabilità perché so che il gradimento del museo passerà anche dal modo in cui parlerò degli oggetti esposti. Per iniziare, un testo per adulti e uno per bambini per ciascun oggetto. La responsabilità spesso ci annebbia ma stimola anche le idee; voglio un testo che sia di più gradevole lettura e possibilmente coinvolgente.

Biblioteca

Penso a quei testi criptici pieni di termini del gergo archeologico e ho quasi paura di queste parole. Paura che possano comunque entrare nella mia mente da quei libri che sto leggendo per trovare, aggiornare e selezionare le informazioni sugli oggetti e che possano uscire dal mio dito che batte i tasti sul computer.

Purtroppo sono contagiose. Non penso ci sia bisogno di dimostrarlo.

Perciò occorre trovare un antidoto. Quelle parole, quello stile di scrittura hanno un senso nella letteratura scientifica archeologica ma lì devono rimanere. L’antidoto che trovo e posso attuare più facilmente è quello di raccontare gli oggetti attraverso delle storie, fare storytelling.

Scrivere una storia ambientata nel passato permette di affrontare un argomento da un altro punto di vista, un punto di vista da cui le parole che fanno paura non si vedono.

Non resta che stare attenti e inserire nel racconto le informazioni all’interno di una cornice narrativa. Finora l’ho fatto per gli oggetti del percorso scelti per la sezione preistorica. Da ora in poi mi occuperò delle sezioni picene e romane e d’ora in avanti cercherò di raccontare il mio lavoro con alcuni post.

Come organizzo i racconti, come li scrivo, come scelgo i nomi dei personaggi, da dove prendo le informazioni… e molto altro ancora! Si parte!

Pompei dal British Museum ai cinema italiani

Martedì 26 e mercoledì 27 novembre sono stati i due giorni della prima italiana di “Pompeii from the British Museum”, “the first live cinema event produced by the British Museum from a major exhibition“. Dal 29 agosto è in programmazione in oltre 1000 cinema in tutto il mondo.

Io sono andato al “Gabbiano” di Senigallia, uno dei tanti cinema italiani che aveva l’evento in programmazione, insieme alla mia sorellina di 10 anni. Fortunatamente, come il resto del pubblico, ha reagito bene all’imprevista assenza del doppiaggio, a cui siamo così comodamente abituati, e ai veloci sottotitoli che scorrevano nella parte bassa dello schermo.

Film? Documentario? Evento? A chi mi ha già chiesto “Cos’era questa cosa di Pompei al cinema? Un documentario?” non sapevo bene cosa rispondere. Dopo averci pensato un po’ ho risposto che si trattava di un video di presentazione della mostra “Life and death – Pompeii and Herculaneum“, che si è tenuta dal 28 marzo al 29 settembre al British Museum.

Dal trailer non si capiva molto bene ciò a cui si andava incontro…

… e se ci aggiungiamo che è una produzione inglese, realizzata in un modo diverso dal solito e per di più sottotitolata, capisco i commenti delle persone, molte delle quali sono andate al cinema aspettandosi un determinato video e invece si sono visti sfilare sotto gli occhi altro.

Come si sviluppa questo filmato? Si parte dalla sala centrale della mostra, con l’introduzione curata dai due presentatori Peter Snow e Bettany Hughes insieme al direttore del museo Neil Mc Gregor. Poi prosegue ripetendo sempre lo stesso schema: dei dialoghi tra i presentatori e alcuni esperti (Mary Beard, Andrew Wallace-Hadrill, Giorgio Locatelli, Rachel de Thame e il curatore della mostra Paul Roberts) alternati a brevi e generiche ricostruzioni dell’ultimo giorno di vita delle città. Al termine i presentatori riportano agli esperti alcune domande che il pubblico aveva posto via social media.

Il focus della mostra e quindi anche del video è sulla vita quotidiana di Pompei. I temi trattati e la descrizione degli oggetti sono sempre volti a descrivere la vita del cittadino romano e a cercare di capire perché il singolo reperto è stato ritrovato all’interno di una fogna, piuttosto che nel foro o all’interno di una casa. L’utilizzo del dialogo ha permesso di variare, e di molto, il livello di approfondimento del discorso: si rimane sul generico nella prima parte, legata ad alcuni oggetti della vita quotidiana, mentre si scende più nello specifico parlando di sesso, giardini e resti di cibo, in particolare il pane. Questi ultimi due temi sono affrontati con l’aiuto di due esperti non archeologi: Rachel de Thane si occupa di giardini mentre Giorgio Locatelli è uno chef italiano.

A detta del curatore Paul Roberts, gli elementi di maggior interesse per il pubblico sono stati i calchi delle persone morte a Pompei e, su questi infatti, si concentra l’ultima parte descrittiva del video, con un livello di approfondimento e coinvolgimento maggiori delle altre. Le telecamere hanno indugiato molto sui calchi, mentre nel resto del filmato la regìa si è soffermata di più sui volti degli esperti che sugli oggetti in vetrina.

Personalmente l’utilizzo del dialogo piace molto e in questo caso l’effetto voluto era proprio quello di accompagnare gli spettatori in una visita alla mostra. Ritengo che questo modo di raccontare favorisca un maggior coinvolgimento delle persone e una maggiore facilità di ricordare in futuro ciò che si è visto rispetto ad una canonica spiegazione.

Altro conto è il fatto che gli spettatori italiani probabilmente non si aspettavano un video del genere, per cui chi fosse andato pensando di trovarsi di fronte una sorta di film con ricostruzioni 3D e una storia probabilmente si sarà annoiato mentre chi si aspettava novità dal punto di vista della ricerca sarà rimasto deluso.

Davvero strano che questo filmato sia stato proiettato solo ora a mostra conclusa. A mia sorella era venuta voglia di andarla a vedere…

Ciak si gira: i musei su YouTube

Ecco il mio blog post uscito ieri su #svegliamuseo.

E’ stato un grande piacere per me contribuire con questa intro su video e musei al progetto.

Alzi la mano chi alle parole “video” e “musei” pensa ad un documentario lungo e noioso! È capitato a tutti coloro che frequentano i musei di inframezzare la propria visita sedendosi in una stanza buia, con tante seggiole (di solito di plastica o con i cuscini rossi), di cui la maggior parte vuote, e vedere un documentario su un tema specifico o sul museo in generale. Sosta benedetta dalle proprie schiene dopo ore in piedi davanti alle vetrine, ci si riposa e intanto si cerca di seguire il documentario.Che questo sia o meno un luogo comune, nel 2013 “video e musei” può essere anche declinato in modi diversi, in primo luogo su Internet.

Andiamo quindi a vedere che cosa propone il più popolare contenitore di video del Web, YouTube. Prendendo ad esempio alcuni dei musei a cui #svegliamuseo si sta rivolgendo, si nota subito che hanno tutti un canale in cui sono presenti moltissimi video, organizzati nella home per playlist.

1 – I trailer

Per iniziare, bisogna subito sottolineare che YouTube influenza il modo in cui un museo si presenta al pubblico. Infatti, l’interfaccia attuale della home di un canale YouTube è strutturata in modo che, quando si accede per la prima volta, sotto la copertina compare un trailer, con l’obiettivo di raccontare all’utente che cosa potrà vedere su quel canale e invogliarlo ad iscriversi. Una volta che ci si è iscritti al canale del museo, la home cambia: al posto del trailer compare un altro video, sotto l’etichetta “Che cosa guardare dopo” e, accanto, “Attività recente” e “Di recente hai guardato”.

Tutto questo per dire che è particolarmente importante presentarsi con un trailer breve e coinvolgente, che riesca a convincere l’utente ad iscriversi al canale e, soprattutto, ad interessarsi al museo. Avere a disposizione un trailer è fondamentale anche nei casi in cui il canale YouTube non è il punto da cui le persone partono per vedere altri video, ma quello in cui le stesse persone arrivano, dopo aver visto il trailer sui social network.

Proprio tramite i social network ho visto per la prima volta il trailer del Rijksmuseum (al momento lo si trova sotto la playlist “Welcome” ma è stato il trailer principale nei mesi scorsi quando si doveva promuovere la riapertura al pubblico) e da questo video sono partito per vedere gli altri che erano già presenti sul canale.

http://www.youtube.com/watch?v=8xSMnJcVDPc&feature=youtu.be

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Meet a Museum Blogger: Francesco Ripanti

Interviewed as Museum Blogger, in this blog post I talk about almost all I did in the last year, from video-storytelling till the internship at Museo Archeologico Nazionale delle Marche.

Museum Minute

Francesco Ripanti is a 27-year-old archaeologist from Italy with a passion for video storytelling. Francesco thinks video is a very engaging medium for the communication of archaeology, especially for telling stories to the general public from the archaeologists’ point of view.

Francesco RipantiDo you work in a museum? If not, where do you work? Tell us about your job.

No, I don’t work in a museum. Currently, I’m attending a two year post-lauream specialization course at the Universities of Trieste, Udine e Venezia.

What’s your educational background?

I graduated from the University of Siena in 2011 with a thesis about video-narration in archaeology. During my five years of study, I directed some docu-dramas and other kinds of video in the Roman mansio of Vignale (LI, Italy) that are available on YouTube. During my first year of post-lauream, I did a two month internship at the National Archaeological Museum of Marche

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Nuovi video al Museo archeologico di Udine

Non essendo riuscito a partecipare a Invasioni digitali (lo farò oggi a Trieste), lo scorso sabato, in occasione della giornata inaugurale della Scuola Interateneo di Specializzazione in Beni Archeologici (SISBA) sono stato ad Udine e ho colto l’occasione per visitare il nuovo museo archeologico della città, che è aperto dallo scorso marzo al piano terra del Castello.

Il museo è composto da 5 sale, in cui sono esposti oggetti provenienti da raccolte di diversi collezionisti tra metà ‘800 e inizio ‘900.

E’ ad esempio il caso della raccolta del conte di Toppo, composta da materiale ceramico, vitreo, cammei, ambre, metalli rinvenute nelle sue proprietà ad Aquileia e a quella di Augusto De Brandis, comprendente centinaia di oggetti magnogreci provenienti principalmente dalla zona di Taranto.

Sono inoltre esposti oggetti dell’armamentario e di vita quotidiana del periodo longobardo, provenienti da svariate necropoli friulane.

Questo tipo di allestimento, incentrato sulla “friulinilità” dei collezionisti, è a prima vista poco invitante e quantomeno discutibile ma secondo me è un buon filo conduttore per tenere insieme contesti di periodi e luoghi diversi (sebbene sia sicuramente possibile migliorarlo).

Quello che però più mi ha sorpreso e interessato è stato che per le 5 sale del museo sono stati preparati dei video specifici sulle singole collezioni esposte. Questi filmati, dalla durata abbastanza lunga, da 10 fino a 20 minuti, sono proiettati su parete e su tablet e prodotti all’interno di “open museums”, un progetto dell’Unione Europea con partner undici musei italiani e sloveni che, attraverso il riallestimento delle loro collezioni e l’impiego di nuove tecnologie, ha lo scopo di trasformare i musei in luoghi di cultura aperti.

Due di questi video usano la forma dell’intervista ad esperti (Marina Rubinich e Nicola Gasbarro) per raccontare il contesto e i reperti principali della sala magnogreca e di quella romana, mentre altri tre video muti mostrano fotografie: uno fotografie d’epoca relative agli scavi e alla città di Udine, il secondo foto di sigilli con annesse informazioni e l’ultimo foto di reperti confiscati dal nucleo dei Carabinieri addetti alla Tutela dei Beni Culturali.

Ma i video più interessanti si trovano nell’ultima sala e in una sala di passaggio da cui si accede al museo.

Partiamo dal video dell’ultima sala: una scrivania in legno e alcuni oggetti (una macchina da scrivere, un cappello, dei libri e dei bauli) richiamano la figura di Luigi Pio Tessitori, uno dei benefattori del museo. Sul video, proiettato sopra questo allestimento, scorrono alcune sue foto d’epoca che ci raccontano la sua permanenza in India. Ad accompagnare e a dare una cornice narrativa a queste foto c’è una voce che legge le parole del suo diario di viaggio.

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L’ultima sala del museo con il video proiettato sopra la ricostruzione di uno studio di inizio ‘900

Il video più innovativo è però quello che si trova nella sala di passaggio, dove il visitatore sente una voce provenire da sinistra al suo passaggio. Si gira stupito e vede qualcosa che probabilmente lo stupisce anche di più: a parlare è uno dei fondatori del museo ottocentesco, Francesco De’ Toppo, che racconta in costume dietro ad una scrivania come è nato il museo.

L’effetto è molto positivo sia a livello di accuratezza (di ricostruzione del personaggio e della scena) che a livello di autenticità (con cui si intende il responso emotivo all’effetto d’insieme).

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Francesco De Toppo reinterpretato nel video introduttivo al percorso museale

Personalmente e in maniera del tutto casuale ricorda da vicino sia nel genere che nel tipo di scena il primo docudrama che mi sono trovato a girare, Il Vignale Ritrovato.

Quello che mi sembra più positivo, ritengo sia lo sforzo fatto per rendere più interessante e coinvolgente una collezione museale che viene da singole raccolte. Mettere insieme media diversi (in una sala è presente anche un interattivo su un mosaico rinvenuto ad Aquileia mentre in un altra una presentazione aiuta a contestualizzare meglio i Longobardi) è senza dubbio una delle possibili e più fruttuose soluzione, quando ben pensata.

A questo punto sarebbe forse valsa la pena pensare meglio le forme dei video delle sale centrali, piuttosto standardizzati in quanto troppo lunghi e non molto coinvolgenti, ma l’esperimento nel suo complesso è senza dubbio positivo.

Aprire un blog di museo: inganno o speranza?

Quando si inizia una nuova esperienza è sempre saggio non giudicare subito ma lasciar passare un po’ di tempo prima di trarre delle conclusioni. Scrivendo questo post non aspiro ad arrivare a delle conclusioni ma più che altro vorrei condividere alcuni elementi di riflessione che ormai ho definito chiaramente in queste prime tre settimane, prendendo anche spunto da una stimolante discussione che si è sviluppata sul blog “Generazione di archeologi“.

Il tirocinio che sto svolgendo presso il Museo Archeologico Nazionale delle Marche finora è stato decisamente positivo. Pur non essendo un museo con un grande richiamo di pubblico, ho potuto apprezzare fin da subito l’ottima accoglienza del tutor e del personale e la buona organizzazione di tutta la struttura. L’allestimento è datato alla metà degli anni ’80 ed era stato pensato per esaltare giochi di luci ed ombre sui reperti esposti all’interno di classiche vetrine a più ripiani; il tutto era coadiuvato da pannelli con illuminazione interna. Nessun tipo di correlazione, anche indiretta, fu pensata con il contenitore della collezione, il cinquecentesco Palazzo Ferretti.

Oggi quest’allestimento non può far nulla per mascherare il trascorrere del tempo. Le rughe che sono comparse con gli anni non lo valorizzano, ergo la moquette è rovinata in vari punti così come sono anacronistiche le modalità di presentazione della collezione e quelle di interazione con il pubblico. Del resto tutto questo è rimasto inalterato dagli anni ’80 mentre la riflessione e le pratiche museologiche sono andate avanti. Quando ci saranno i fondi è chiaro che il tutto andrà rinnovato… se ci saranno.

Conoscendo già la situazione dell’allestimento del museo prima di iniziare il tirocinio, avevo pensato di incanalare il mio entusiasmo di neo-specializzando appassionato di comunicazione archeologica in qualche proposta che potesse portare una ventata di novità. Per cui ho proposto alla mia tutor di aprire un blog, per far si che il museo potesse raccontarsi e avere un contatto più diretto e incisivo con il pubblico. Tenere un blog era una cosa di cui avevo già fatto esperienza pratica, quindi ho fatto la mia proposta sicuro a priori che questa fosse positiva.

La proposta è stata (devo dire inaspettatamente) accettata, il blog è partito, sono entusiasta di come è iniziata questa avventura e sicuramente dal punto di vista personale e mi sento di dire anche per il museo e il suo personale è senza dubbio un’esperienza positiva. Ma per il pubblico? Per il pubblico è stata davvero una scelta giusta?

Dico subito che non penso che il blog sia un inganno. Pero se Tizio vede il blog e dice a Caio: “Il museo si è finalmente rinnovato e modernizzato, guarda hanno aperto un blog!”, poi vanno al museo e tutto è come prima, magari peggio perché intanto una luce ha smesso di illuminare un pannello già sbiadito dal tempo, allora che cosa devo pensare?

I visitatori vogliono entrare e vedere un museo all’avanguardia e più che altro a loro misura, non servono spesso inutili e sempre costose meraviglie tecnologiche di ultimissima generazione. Sicuramente però varcando l’ingresso di Palazzo Ferretti così come quelli di moltissimi altri musei archeologici italiani trovano sempre i soliti allestimenti antiquati.

Ad ogni modo il mio punto di vista è che il blog da poco mandato online non deve essere inteso come ultima espressione di innovazione del museo ma come il primo passo di un nuovo museo, un segno di volontà di innovarsi, uno spazio dove accogliere le opinioni dei futuri visitatori per capire in che direzione vogliamo andare. E’ chiaro che da parte di chi prende le decisioni ci deve essere l’apertura mentale necessaria per accogliere critiche e proposte, e questo non sempre si verifica.

Allora è proprio questo il momento in cui il precario equilibrio tra inganno e speranza prende una determinata piega, che fa diventare il blog un primo passo verso qualcosa di veramente utile e concreto (e oserei dire anche più moderno e più democratico) oppure l’ennesima grande illusione, l’ennesimo spazio su internet fine a se stesso e che quindi presto o tardi chiuderà.

Una volta proposto di aprire il blog, mi devo assumere la responsabilità e il coraggio di far riflettere chi dirige il museo su questo punto. Me ne accorgo solo ora ma non penso sia troppo tardi. Speriamo di avere innescato una serie di reazioni a catena positive. Qualcuno deve anche darsi da fare e muovere lo status quo. Presto saprò se ho fatto bene o no.