Dialoghi itineranti – A Vignale tra scavo e archeologia pubblica

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Dialoghi itineranti. Quest’anno il video principale girato a Vignale è partito da un’idea, dal titolo. Di solito succede sempre il contrario. Si parte da un tema di ricerca, dai contesti che si stanno scavando, da una storia particolare, da un intento specifico… e poi, alla fine, si sceglie il titolo.

Per il 2013 è stato diverso: sulla scia positiva di “Cannoni e farfalle“, ho voluto mettere in scena sullo scavo dei dialoghi che spesso si svolgono nelle aule o nei laboratori. Sono dialoghi itineranti perché si svolgono in punti diversi dello scavo e perché esprimono tutti, a partire da situazioni diverse, l’archeologia di Vignale, non tanto che cosa si è scavato nella campagna 2013 ma come lo si è fatto.

La scaletta – La prima scena è un dialogo ad una persona sola. Non un monologo ma un dialogo tra le due anime di un solo archeologo, una più tesa a seguire l’insegnamento manualistico universitario e l’altra più avvezza a scavare con un occhio alla realtà del cantiere. L’effetto non è comico e non era nelle mie intenzioni che fosse comico: penso che riflessioni come queste siano capitate a tutti gli archeologi. In questo caso le due anime non giungono ad un compromesso, visto che al termine la loro conversazione è interrotta. La scena si svolge nell’ambiente 11, dove l’attività di scavo si è incentrata nella pulizia dei muri di una piccola terma e nella comprensione dei loro rapporti stratigrafici.

La seconda scena ricalca la prima ma qui ci sono due persone che vedono l’archeologia allo stesso modo. Rispetto alla scena precedente c’è un connessione più stretta tra ciò che si dice e ciò che si è scavato. La scena si svolge nel sondaggio 24, aperto quest’anno per avere nuove informazioni sull’entrata della stazione di sosta.

La terza scena si svolge all’interno della rimessa per gli attrezzi dello scavo e racconta da dietro le quinte l’esperienza di Let’s Dig Again, la prima radio di archeologia in Italia, con un dialogo molto verosimile che inizia subito dopo la conclusione di una puntata.

L’ultima scena è una riflessione personale che, in poche battute, vuole tirare le somme della campagna 2013. E’ quindi una sorta di dialogo con il sito, con cui gli archeologi non si interfacciano solo direttamente, quando procedono con lo scavo, ma anche indirettamente, dandogli significati diversi a seconda delle attività che vengono svolte, dalla radio ai video, dall’accoglienza ai visitatori di passaggio alle visite alle scuole e così via.

Le scene sono intervallate da brevi timelapse. Questi fanno riferimento alle aree di scavo in cui è ambientata la scena precedente o successiva o ad eventi a cui ci si richiama in seguito (la bonifica dello scavo dopo le piogge del fine settimana).

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Una foto del timelapse dell’ambiente 10

Best and Worst – Rispetto ai precedenti video e cortometraggi girati a Vignale, in quest’ultimo non è presente una forte cornice narrativa di fondo, le varie scene sono piuttosto slegate le une dalle altre e le frasi sono più lunghe e arzigogolate, soprattutto per le prime due scene. La differenza con i docudrama è di concetto e anche pratica, frutto dello scavo. Di concetto perché ovviamente il docudrama è ottimo per una comunicazione a pubblici diversi, a tutti piace che un sito sia raccontato mettendo in scena delle storie il più possibile documentate e verosimili. Pratica, perché non sempre lo scavo mette in luce delle storie adatte ad essere raccontate, soprattutto se si affrontano dei contesti complicati come quello dei muri della terma della prima scena.

I dialoghi – La scelta di produrre questo tipo di video è stata quindi in parte forzata, in parte legata alla volontà di sperimentare qualcosa di nuovo. Il dialogo si è rivelato un mezzo espressivo particolarmente adatto a legare riflessioni personali sull’archeologia alla realtà dello scavo. Anche nei docudrama ovviamente erano presenti dialoghi tra personaggi; nel caso di questo cortometraggio però, il dialogo è utilizzato in primo luogo per mettere a fuoco una o più situazioni/argomenti (soprattutto nelle prime due scene) con una sorta di dialogo riflessivo, mentre nei docudrama era funzionale allo sviluppo della trama, il cosiddetto dialogo narrativo.

Uno dei dialoghi con Andrea e Mirko di "Let's dig again"

Il dialogo con protagonisti Andrea e Mirko di “Let’s dig again”

La presenza di dialoghi riflessivi porta inevitabilmente con sé una più marcata complessità nella composizione della frase. Manuali come “Anatomia di una storia” di J. Truby indicano che in un film “un buon dialogo è sempre più intelligente, più brillante, più metaforico e meglio argomentato che nella vita reale”, per cui non deve riprodurre una vera conversazione. In un cortometraggio di tema archeologico, quando il dialogo non è narrativo, è piuttosto difficile evitare l’utilizzo di termini specifici o una sintassi più contorta del normale. L’obiettivo è quello di riuscire ad essere comprensibili per il tipo di pubblico a cui il video è diretto.

Il pubblico – Quale pubblico vuole raggiungere “Dialoghi itineranti”? Quando ho iniziato a pensare a questo video, come al solito, l’intenzione era quella di raggiungere il maggior numero possibile di persone. Sono convinto che per una comunicazione di qualità ci sia un unico pubblico. Per arrivare a questo sono sempre passato attraverso un lavoro piuttosto attento sulla sceneggiatura. In questo caso i discorsi delle prime due scene sono incentrati su come stanno lavorando gli archeologi, per cui il pubblico non può essere altro che uno di archeologi. Le seconde due scene si incentrano su radio e sullo scavo in generale e possono interessare un pubblico più ampio. Questa differenza credo che sia il difetto maggiore di questo cortometraggio, difetto che però rispecchia lo spirito di questo scavo: da una parte molto focalizzato sulla metodologia di lavoro, dall’altro nel rapporto con la comunità locale e il pubblico più in generale.

A questo punto non resta che augurarvi buona visione!

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