Dialogo realistico tra due professori e uno studente. O della difficoltà di aprire l’archeologia classica a nuove necessità.
Personaggi: Fritz e Baumann, professori di archeologia classica; Tommaso, archeologo laureato.
La cattedra è piena di buste, di tesi di laurea, di fogli. La professoressa Fritz cerca i documenti di Tommaso, andandoli a cercare nel mucchio alla sua sinistra.
“Riconoscerei la mia pessima calligrafia tra mille, è questa professoressa!”
La professoressa estrae la tesi ed un foglio con alcuni suoi appunti. La calligrafia della professoressa è decisamente più incomprensibile di quella del candidato Tommaso.
“Ah, lei quindi è il famoso archeologo che gira dei video!”
“Famoso non penso, comunque sì, la tesi è sull’uso del video in archeologia.”
“Mi spieghi un po’ com’è nato il suo interesse per questo argomento, visto che dalla tesi della triennale mi sembra di capire che si occupasse di tutt’altro.”
“Il mio interesse per i video è nato nel momento in cui ho deciso di dedicarmi alla comunicazione dell’archeologia e il video è stato lo strumento che mi ha permesso di farla in maniera creativa. Girando filmati sono riuscito a raccontare quello che stavo scavando alle persone interessate, sempre a partire dall’evidenza archeologica.”
Il professor Baumann, finora taciturno al fianco della professoressa Fritz, esce dal suo torpore.
“Beh, certo, bella idea, però bisogna stare attenti a cosa si comunica.”
“In effetti sì, insomma, queste storie romanzate mi lasciano sempre perplessa”, incalza la professoressa.
Tommaso è colpito nell’orgoglio: “Il racconto dello scavo non è romanzato! Si basa su ciò che viene scavato visto che l’obiettivo è proprio raccontare lo scavo, non inventare romanzi!”
Baumann si irrigidisce in un’espressione accigliata ma è interessato all’argomento generale.
“Ho capito quello che vuoi dire. Però il contenuto scientifico della tua tesi, qual’è?”
“Dal punto di vista scientifico mi sono soffermato su alcune teorie del linguaggio legate alla comunicazione, in particolare sull’applicazione della narratività alle discipline scientifiche, che in America è già in voga da vari anni. Si è arrivati a riconoscere che si può arrivare a costruire nuova conoscenza sforzandosi di raccontare una storia su un determinato argomento. In questo modo si è stimolati a porsi delle nuove domande che, approcciando lo stesso problema da una prospettiva canonica, non potrebbero mai venirci in mente.”
Baumann e Fritz non replicano e Tommaso continua.
“Poi, insomma, la crescente importanza della comunicazione in archeologia è un fenomeno evidente, all’estero ancora di più che in Italia. Comunicare ciò che si scava è una delle responsabilità dell’archeologo e riuscire a raccontare lo scavo è di per sé la prova che si è fatto un buon lavoro. Inoltre dare visibilità alla propria ricerca è anche un modo per rendere più facile la ricerca di finanziamenti; soprattutto in questi tempi di crisi questo è un argomento centrale.”
“Su questo ultimo punto sono d’accordo, sicuramente è un aspetto su cui bisogna puntare di più, non possiamo andare avanti senza finanziamenti” riconosce Baumann.
La Fritz è però infastidita e porta un nuovo argomento.
“Lei si occupa di video e comunicazione che, per carità, sono importanti però le chiedo… sa riconoscere che cos’è questa?”
Tommaso vede sullo schermo del computer una statua in marmo di un uomo che tiene con la mano sinistra quella che sembra un sorta di veste. Però l’uomo è nudo, la testa è mozzata e la veste è mal conservata e Tommaso non è sicuro sia una veste.
“Assolutamente no. L’unica volta che mi è capitato di trovare una statua su uno scavo era riutilizzata in un muro, anche quella aveva la testa mozzata.”
“Che era riutilizzata in un muro non ha importanza, ma l’aveva riconosciuta? Cosa ne avevate fatto della statua?” incalza la Fritz.
Tommaso è colto di sorpresa. Gli scorrono nella mente i ricordi e soprattutto il fatto che lui aveva sempre ritenuto come elemento più importante che la statua fosse stata riutilizzata nel muro piuttosto che l’identificazione stessa della statua, almeno in quel contesto. L’identificazione era solo funzionale ad una datazione della statua, e a confermare che nell’epoca di costruzione del muro la statua non rivestiva più alcuna importanza, altrimenti non sarebbe stata riutilizzata. Però se ne sta zitto, pensa che lui ha una prospettiva diversa ma che l’esame comunque lo deve passare.
“L’avevamo portata in magazzino ed era stata proposta un’identificazione come un Apollo di II secolo.”
“Ritornando a questa quindi lei non sa dirmi niente?”
“Sinceramente no, poi non conosco nemmeno il contesto di rinvenimento…”
“Ma quello non ha importanza, lei è un archeologo e questo è l’ABC dell’archeologia, se non la riconosce lei chi la riconosce?”
“Io ho studiato la statuaria più famosa durante il mio corso di studi, questa statua mozzata forse la può riconoscere uno specialista.” Tommaso si morde la lingua; avrebbe voluto dire “uno storico dell’arte” ma per il suo esame forse è meglio così.
“Ma almeno mi sa indicare alcuni libri in cui cercare questa statua?”
“A parte l’enciclopedia dell’arte antica non mi viene in mente altro. Sicuramente ci sono dei titoli più aggiornati ma non mi è mai capitato di fare questo tipo di ricerche. Mi sono occupato più di altre cose e ho sviluppato altro tipo di interessi; penso che l’archeologo di oggi non può essere un tuttologo, deve concentrare lo studio su alcuni argomenti e approfondire la sua preparazione su quelli, avendo comunque una conoscenza di base solida su tutta la disciplina. Se lei mi facesse vedere Prassitele e Lisippo li riconoscerei ma una statua di questo genere non credo sia così utile conoscerla come pezzo in sé.”
Stavolta è la professoressa Fritz ad essere toccata nell’orgoglio: “I materiali sono l’ABC dell’archeologia e bisogna conoscerli bene. Sempre meno giovani studiosi se ne occupano e, mi scusi, ma quando la mia generazione non occuperà più queste cattedre chi si occuperà del riconoscimento di statue e ceramica? Le statue occupano la maggiorparte dello spazio nei nostri musei, non possiamo fare a meno di conoscerle.”
Tommaso pensa che oggi pochi archeologi in Italia si occupano di comunicazione e nessuno di essi ha mai avuto una formazione teorica. Infatti in televisione il programma di divulgazione più seguito è quello di Giacobbo. Forse sarebbe più utile fare più comunicazione e lasciare le statue agli storici dell’arte. Questa discussione polemica però sta mettendo a rischio l’esame, quindi Tommaso si vede costretto ad essere più diplomatico.
“Con le statue non ho mai avuto niente a che fare, ma ad esempio per la ceramica le saprei indicare dei testi di riferimento per vari periodi storici oltre a riconoscere le forme e le tipologie più importanti. E non è certamente il mio campo di studi. Riconosco di non essere preparato adeguatamente sui materiali, così come penso che il corso di laurea non è sufficiente a formare un archeologo ed è per questo che ho deciso di continuare la mia formazione.”
Baumann approva.
“Ad ogni modo io vorrei continuare la mia formazione sulla comunicazione. Mi guardo intorno e vedo che l’archeologo non può più essere solo lo studioso che si chiude in biblioteca o in laboratorio a studiare libri e materiali ma deve entrare in contatto con il pubblico e raccontare quello che ha capito, coinvolgendo e arrivando ad uno scambio con le persone interessate. L’archeologia è anche una scienza sociale e bisogna formarsi tenendo conto di questo.”
E’ quasi ora di pranzo e ci sono altri candidati dopo Tommaso. La Fritz vuole chiudere e freddamente conclude: “Va bene. Io comunque so che cosa ti dovrò chiedere agli esami.”
Tommaso saluta ed esce dalla stanza. A meno di brutte sorprese l’esame l’ha superato, almeno a giudicare dall’ultima battuta della professoressa. La lunga e vibrante discussione l’ha soddisfatto: stavolta è stato più incisivo che in altre occasioni. Già far riflettere due professori di archeologia classica su questo argomento è stato un magro successo.